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Tre libri che meritano il Nobel

Di Giulia Ausani • ottobre 16, 2017

Ishiguro
Kazuo Ishiguro

Quando la sua agente lo ha chiamato per informarlo che aveva appena vinto il Nobel per la letteratura, Kazuo Ishiguro ha subito pensato a una fake news. E invece era tutto vero. “Non ci ho creduto finché i giornalisti non hanno iniziato a chiamarmi e ad ammassarsi fuori dalla porta di casa”, ha rivelato al Guardian.
L’Accademia di Svezia ha premiato lo scrittore giapponese naturalizzato britannico “per aver rivelato, in romanzi di grande forza emotiva, l’abisso al di sotto del nostro senso illusorio di connessione col mondo”.
Dopo la decisione rivoluzionaria (e da molti contestata) di premiare Bob Dylan, quest’anno l’Accademia ha quindi scelto un nome più vicino alla concezione più classica di letteratura e che al tempo stesso è noto al grande pubblico internazionale (da due suoi romanzi sono stati tratti dei film). Si tratta, insomma, di un nome che mette d’accordo tutti, accademici e lettori.
Nato a Nagasaki nel 1954 e trasferitosi in Gran Bretagna sei anni dopo, Kazuo Ishiguro parla e scrive in inglese ma è stato cresciuto da genitori giapponesi, e questo di certo ha influenzato la sua formazione prima e la sua sensibilità di romanziere poi. Il suo primo romanzo, “Un pallido orizzonte di colline” (1982), è in realtà il lavoro finale del suo Master of Arts in Scrittura Creativa alla University of East Anglia, corso a cui si era iscritto un po’ per caso, quando ormai aveva capito che non sarebbe riuscito a realizzare il sogno di diventare musicista.
Quella di Ishiguro è una prosa pulita e lineare, quasi fredda nella sua precisione e che però riesce a indagare le profondità dell’animo umano, spesso con una leggera melanconia di fondo. Il valore del tempo e della memoria nella costruzione di se stessi, l’importanza di amore e amicizia per accettare che il nostro tempo su questa terra è limitato sono alcuni dei temi che caratterizzano la produzione letteraria di Ishiguro, che dopo i primi due romanzi sul Giappone (terra natale che ha visitato di nuovo solo nel 1989) ha iniziato ad ambientare le sue opere in Inghilterra.
Abbiamo selezionato tre suoi romanzi che, nonostante le diverse ambientazioni, rivelano una profonda conoscenza dell’animo umano, tanto che persino il lettore finisce col sentirsi messo a nudo dalla scrittura di Ishiguro, abile non solo a dare voce a emozioni, debolezze e dubbi che custodiamo gelosamente, ma anche a ispirare riflessioni sulle stesse.
“Forse allora c’è qualcosa di giusto in quel suo consiglio, che dovrei smettere di guardare indietro così a lungo, adottare una prospettiva più positiva e cercare di fare del mio meglio con quel che resta del giorno. Dopotutto, cosa ci si guadagna a guardarsi sempre indietro, cosa ci si guadagna a incolparsi se le nostre vite non sono andate proprio come avremmo voluto?”
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Gran Bretagna, 1956. Mr. Stevens è l’anziano maggiordomo di servizio alla Darlington Hall, nella campagna inglese. Qui ha servito per trent’anni Lord Darlington, e adesso si prepara a servire il nuovo proprietario, l’americano Farraday. Su invito del nuovo datore di lavoro, Stevens si imbarca in un viaggio in auto attraverso la Cornovaglia per far visita a Miss Kenton, vecchia governante di Darlington Hall, e chiederle di tornare al lavoro.
Il viaggio fisico di Stevens corrisponde anche a un vero e proprio viaggio nella memoria e nella propria identità, perché il maggiordomo rievoca gli anni passati al servizio di Lord Darlington. Scopriamo così un uomo svuotato di ogni emozione perché unicamente votato alla propria professione, che richiede serietà e abnegazione per poter servire al meglio il proprio padrone. Stevens sacrifica se stesso al punto da rinunciare anche all’amore, e appare presto evidente che, a dispetto di quanto lui stesso affermi nel suo diario di viaggio, la visita a Miss Kenton non sia dovuta solo a motivi professionali.
Stevens, sempre così perfettamente inserito nel proprio ruolo di maggiordomo perfetto, in tarda età si ritrova a riflettere sugli anni passati, mettendo il lettore davanti a un’esistenza sprecata per servire un uomo poi rivelatosi un simpatizzante nazista. Stevens ha basato la sua intera vita su un personale concetto di dignità, per lui legata alla capacità di non abbandonare mai il proprio ruolo di servitore perfetto. E quindi ha di fatto rinunciato a se stesso e alla propria individualità, rinnegando le proprie emozioni e rifiutando l’amore e l’intimità con Miss Kenton. Ora che è anziano guarda al passato con rimpianto per i legami personali mai approfonditi, all’interno di un romanzo tutto incentrato sul tempo e la memoria.
Per Ishiguro, la figura del maggiordomo è altamente metaforica e più vicina a ognuno di noi di quanto si possa inizialmente pensare. In un’intervista a Paris Review ha infatti spiegato che simboleggia la “freddezza emozionale”: “Il maggiordomo inglese deve essere incredibilmente riservato e non mostrare alcuna reazione a ciò che gli succede intorno. Sembrava un buon modo per rappresentare non solo lo spirito inglese, ma anche quella parte universale di noi che ha paura di provare un coinvolgimento emotivo”.
Nel 1993 dal romanzo è stato tratto un film diretto da James Ivory e con Anthony Hopkins ed Emma Thomspon nei panni di Stevens e di Miss Kenton.
“Non c'era modo di invertire il processo. Come si può chiedere a un mondo che è arrivato a considerare il cancro come malattia curabile, come si può chiedere a un mondo simile di accantonare la cura, di tornare all'età infelice dell'impossibilità? Non c'era più modo di invertire la rotta.”
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Kathy H., trentun anni, ripercorre la sua infanzia e adolescenza, rievocando i ricordi - estremamente lucidi e dettagliati - degli anni trascorsi ad Hailsham, collegio esclusivo immerso nella campagna inglese. Attraverso i suoi occhi facciamo la conoscenza dei suoi amici più cari, Tommy e Ruth: un’amicizia destinata a complicarsi, perché Kathy inizia presto a sviluppare sentimenti più profondi per Tommy, che tuttavia si lega sentimentalmente a Ruth. Quello di Hailsham è un ambiente ovattato, quasi di protezione dal mondo esterno: “È come la manifestazione fisica di ciò che dobbiamo fare a tutti i bambini”, ha spiegato lo stesso Ishiguro in un’intervista al Guardian. “In un certo qual modo dobbiamo proteggerli da ciò che conosciamo e centellinare le informazioni che gli diamo [...]. Quando diventi genitore o insegnante diventi il supervisore di questo sistema. Diventi la persona che controlla e regola la bolla di innocenza attorno a un bambino. Tutti i bambini devono essere ingannati per crescere senza traumi”.
E tuttavia il sistema di Hailsham rivela un segreto che viene presto svelato: Kathy, Tommy, Ruth e gli altri bambini e ragazzi dell’istituto non sono normali esseri umani ma cloni il cui unico scopo è quello di donare i propri organi per curare le malattie delle cosiddette “persone normali” fino all’inevitabile morte in giovane età. È una rivelazione sconcertante per il lettore, eppure i protagonisti la accettano senza porsi domande, senza sviluppare un istinto alla rivolta tanto comune nelle distopie e nelle opere di fantascienza. In effetti, il lato scientifico del mondo ucronico creato da Ishiguro viene poco approfondito in generale nel romanzo, che si concentra invece sui rapporti umani, sull’amore e l’amicizia, su come legami profondi riescano a superare anche anni di lontananza.
“Sapevo fin dall’inizio di non voler scrivere una storia su una classe schiavizzata e sfruttata che poi si sarebbe ribellata”, ha spiegato Ishiguro a Der Spiegel. “Il tema principale non doveva essere il trionfo dello spirito umano. Ero interessato alla capacità umana di accettare quello che sembra essere un destino limitato e crudele”. E infatti “Non lasciarmi” è un viaggio della memoria all’esplorazione delle emozioni umane, toccante e malinconico ma sempre estremamente reale pur con la componente fantascientifica - e i suoi risvolti tragici - alla base di quella che, in fin dei conti, è soprattutto una storia di amore e amicizia, perché sono i legami con gli altri che ci permettono di affrontare la caducità della vita.
Dal romanzo nel 2010 è stato tratto un film diretto da Mark Romanek e con protagonisti Carey Mulligan, Keira Knightley e Andrew Garfield nei panni di Kathy, Ruth e Tommy.
– Ma la nebbia copre tutti i ricordi, i brutti come i belli. Non è così, mia signora?
– Che tornino anche quelli brutti, seppure ci faranno piangere o tremare di rabbia. Non è comunque la vita che abbiamo vissuto insieme?
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Orchi, folletti e draghi popolano l’antica Britannia, tanto diversa dall’odierna Inghilterra. Qui troviamo una coppia di anziani coniugi, Axl e Beatrice (“forse non erano questi i loro nomi esatti o completi, ma per comodità noi li chiameremo d’ora in poi così”). I due hanno vissuto una vita insieme, eppure tanti, troppi dettagli di questa vita sfuggono alla loro memoria per colpa di una strana nebbia che avvolge un villaggio dopo l’altro, facendo sprofondare gli abitanti nell’oblio. Axl e Beatrice ricordano di aver avuto un figlio, ma chi è? Che ne è stato di lui? Come possono ritrovarlo? Con coraggio i due si imbarcano in un viaggio avventuroso irto di insidie e pericoli per scoprire l’origine della misteriosa nebbia e insieme ritrovare i propri ricordi, allo stesso tempo domandandosi se l’oblio non sia forse preferibile.
“Il gigante sepolto” segna la svolta fantasy di Ishiguro, con un’ambientazione che riprende gli elementi più classici della letteratura fantastica, dai draghi ai cavalieri, dai giganti agli orchi. Ma ancora una volta l’ambientazione si rivela un pretesto per un racconto estremamente umano, vicino al lettore: se in “Non lasciarmi” il risvolto fantascientifico serviva solo a porre l’accento sui rapporti di amore e di amicizia, ne “Il gigante sepolto” il tema principale è quello della memoria e della sua importanza nella nostra vita. Cosa siamo senza i nostri ricordi? È meglio conservare i ricordi più dolorosi o è forse preferibile dimenticarli? Indagando questi interrogativi, Ishiguro passa da un discorso personale - quello legato ai due personaggi protagonisti - a uno più universale e comunitario, interrogandosi sul concetto di memoria collettiva di un Paese.
“Per una nazione, quando è meglio dimenticare alcuni momenti bui della propria storia recente e quando invece è meglio affrontare quei brutti ricordi?”, si è chiesto durante un’intervista per Deutsche Welle. “Ogni paese ha il suo ‘gigante sepolto’ e ovunque si tende a sotterrare certi trascorsi”: non a caso, inizialmente per l’ambientazione del romanzo Ishiguro aveva pensato alla Francia post-occupazione, al genocidio del Ruanda, allo smentellamento della Jugoslavia. “Tutte queste cornici potevano essere giuste per il romanzo - ha raccontato a La Repubblica - ma così non sarebbe stato una metafora universale”. Alla fine l’ispirazione è arrivata per caso, leggendo il poema quattrocentesco “Sir Gawain and the Green Knight”. Da questo a un’ambientazione fantastica il passo è stato breve.
“Il gigante sepolto” quindi è un romanzo di stampo fantasy medievale e insieme una riflessione sull’importanza dei ricordi e dell’oblio, ma “il libro non sostiene che sia meglio dimenticare o che dobbiamo sempre ricordare. Da scrittore io non sostengo nessuna tesi: ciò che cerco di fare è catturare le emozioni di persone ordinarie che si ritrovano in mezzo a questi dilemmi. Io non scrivo romanzi per affermare un’idea. Se il mio obiettivo fosse quello, tanto varrebbe scrivere un saggio argomentativo”.
Dal realismo di “Quel che resta del giorno” al fantasy de “Il gigante sepolto”, Ishiguro dimostra di saper tratteggiare in maniera profonda e sensibile la complessità dell’animo umano con le sue speranze e delusioni, ponendo l’accento su temi quali il tempo, la memoria e i rapporti con gli altri in relazione alla propria identità. E se questo ancora non fosse abbastanza, Salman Rushdie (che da anni è tra i favoriti per il Nobel) ha commentato la vittoria dell’amico dicendo che “suona anche la chitarra e scrive canzoni. Scansati, Bob Dylan”.

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