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Intervista a Jo Nesbø, l'inafferabile

Di Paolo Armelli • aprile 04, 2017

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Jo Nesbø - Photo by Thron Ullberg

Viso appena segnato dal tempo, fisico asciutto e movimenti precisi da scalatore, capelli e barba leggera di quel biondo che non può che essere scandinavo: Jo Nesbø non assomiglia a nessuna immagine stereotipica dello scrittore. Eppure scrittore lo è eccome, vende milioni di copie in tutto il mondo e in particolare in Italia, dove il crime nordico è specialmente apprezzato.

Norvegese, 57 anni compiuti lo scorso 29 marzo, è un autore non del tutto afferrabile se non in superficie: alla mano e sportivo senza essere sciatto, consapevole del proprio talento senza esserne vanitoso, perfettamente padrone dei propri romanzi senza cadere nella trappola angusta della letteratura di genere. Perché i libri di Nesbø sono sì dei thriller, ma sono anche macchine perfette di costruzione letteraria, di distribuzione delle parti e di somministrazione della trama, di colpi di scena studiati per non sembrar tali, di personaggi dalla profondità psicologica inaspettata. Quasi sempre tormentati, comunque.

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"Harry Hole non è il mio alter ego, ma avendolo scritto per così tanti anni c’è ovviamente qualcosa di me in lui"

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Nesbø era in Italia il 26 marzo per lanciare il suo ultimo romanzo, Sete, edito da Einaudi, e per partecipare alla terza anteprima di Tempo di Libri, la nuova fiera dell’editoria che si terrà a Milano dal prossimo 19 aprile. Incontrando i giornalisti, lo scrittore si mostra disponibile alla conversazione ma, fedele alla sua natura sfaccettata, scansa abilmente i riferimenti più personali. Preferisce piuttosto parlare di Harry Hole, il protagonista di tanti suoi libri (e anche di quest’ultimo): “Non è il mio alter ego, ma avendolo scritto per così tanti anni c’è ovviamente qualcosa di me in lui”, ci dice. “Entrambi, in effetti, siamo introversi e in qualche modo uomini ricchi di contraddizioni: romantici ma malinconici, analitici ma anche un po’ cinici”.

Hole non è un protagonista come tanti, in effetti: è un alcolista conclamato (almeno fino ai capitoli precedenti della saga), si concede qualche vizio come l’oppio, spesso non esita a sacrificare alcune vite per salvarne altre. Eppure è un investigatore abilissimo, addestrato dall’Fbi a riconoscere i dettagli che incastrano anche i criminali più sfuggenti. All’inizio di Sete lo troviamo ritirato dalla vita pubblica, in cerca di una vita nuova ma ancora ossessionato da demoni del passato che tornano a riaffacciarsi: “Si sta abituando ad avere una famiglia, alla quotidianità, alla routine,” racconta Nesbø. “È spaventato dalla possibilità di essere felice perché non sa come fare. Se tutto è perfetto gli pare di camminare sul giaccio sottile e l’attesa che questo prima o poi si rompa diventa insopportabile”.

E infatti la tranquillità del ritiro viene interrotta dalla comparsa di un nuovo serial killer, efferato quasi quanto quello incontrato ne Il leopardo del 2011. Se quello ammazzava le sue vittime con marchingegni infernali alla Saw l’enigmista, questo le attira a sé tramite Tinder, la famosa app per incontri, e poi le morde brutalmente. Indagini a parte – sempre strutturate al minimo dettaglio per garantire un page-turner senza tregua nonostante le oltre 600 pagine di lunghezza – l’idea di partenza è estremamente contemporanea e originale, anche se nasce da una banalità quotidiana: “Avevo notato nel bar in cui andavo a scrivere alcune coppie che s’incontravano e avevano queste conversazioni molto serrate ma anche molto strane, come se fossero dei colloqui di lavoro”, rivela l’autore. “Poi ho capito che si trattava di primi incontri nati su Tinder e allora mi sono messo a origliare con più attenzione: c’era della vera e propria letteratura che si stava svolgendo di fronte ai miei occhi”.

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Jo Nesbø - Photo by Thron Ullberg

Nella vita Nesbø è stato calciatore (in Serie A, prima che un brutto incidente gli stroncasse la carriera), broker finanziario e perfino cantante (anche oggi nella sua band Di Derre). E per scrivere i suoi romanzi, spesso ambientati in luoghi esotici come Australia, Congo e Hong Kong, ha fatto lunghi viaggi e si è sottoposto a avventure estreme, come fare skydiving o vivere per un mese assieme ai tossicodipendenti. Tutto per il gusto della verosimiglianza. Ma di fronte a Tinder, le cui dinamiche e i cui meccanismi nel romanzo sono raccontati con precisione lucidissima, si è arreso: “L’ho dovuto far usare a una mia amica, poi lei mi raccontava. Da novizia l’ho vista trasformarsi in una cinica professionista nella scelta dei partner. Ha avuto delle esperienze bizzarre, ma alla fine ci ha trovato anche l’amore”.

Amore e violenza, seduzione e pericolo sono elementi che si fondono in continuazione in un romanzo come Sete, che al solito indaga negli anfratti più ambigui e oscuri di tutti i personaggi. Ma tutta questa brutalità non finisce per cambiare anche chi la scrive?Non credo che scrivere di omicidi così efferati mi abbia cambiato: sono uno scrittore e quando vedo che sto raggiungendo il limite posso sempre chiudere il libro e fare qualcos’altro. Chi lavora nella polizia, nelle chiese o nelle prigioni invece non può”. Però ammette: “Il leopardo ha ricevuto pesanti accuse di violenza eccessiva. Sono andato a rileggermi alcuni passi alla luce di quelle critiche e in effetti molte di quelle scene erano gratuite, forse mi sono lasciato prendere la mano dal fatto che sapevo scriverle così bene”.

In effetti lo stile di Nesbø sembra essere nato apposta per descrivere delitti e criminali: scava senza morbosità, racconta l’abisso senza accondiscendenza né finta indifferenza, sublima il dolore in un tormento quotidiano, quasi universale. E poi è preciso, calcolato, efficace. “Molti dicono che la mia scrittura sembri molto adatta ad essere portata sullo schermo,” dice. “Forse perché la mia generazione è cresciuta non solo coi libri ma anche coi film: quando ancora ero piccolo e non potevo andare al cinema, ci andava il mio fratello più grande che poi tornava a casa e mi raccontava tutto”. Non ne fa però una sua marca autoriale distintiva, parla piuttosto di uno spirito dei tempi, e cita ad esempio la serie Black Mirror: “Oggi le sceneggiature cercano sempre qualcosa che rompa gli schemi tradizionali, che pieghi la struttura drammatica in direzioni inaspettate. Il pubblico è ormai più consapevole: vuole buone storie, indipendentemente del mezzo che gliele racconta”.

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"Quando rileggo i miei esordi devo ammettere che mi faccio i complimenti da solo"

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Infatti Nesbø ha scritto anche per la serialità televisiva: Okkupert (Occupied) è una storia di fantaspionaggio da lui ideato in cui, in un’Europa apocalittica alla disperata ricerca di energia, la Norvegia si rivolge solo alle rinnovabili e per questo viene occupata dalla Russia (prodotta dalla norvegese TV2, la serie è distribuita nel mondo da Netflix). Un adattamento di un suo romanzo (non della saga di Harry Hole) è invece Headhunters, un thriller con Nikolaj Coster-Waldau, il Jaime Lannister di Game of Thrones, giocato su suspense e identità celate.

In ottobre arriverà al cinema, invece, The Snowman, questo sì invece della serie di Hole (L’uomo di neve, edito da Piemme). Per la regia si era fatto il nome addirittura di Martin Scorsese, ma invece sarà affidata a Tomas Alfredson; il protagonista sarà Michael Fassbender: “Lo trovo grandioso, l’ho molto apprezzato in Shame”, rivela Nesbø, “ma ovviamente sia io sia i lettori abbiamo ognuno la nostra immagine di Harry Hole e non assomiglia a lui. Com’è giusto che sia”.

Raro oggigiorno trovare autori che coniughino così tanti aspetti nella loro carriera: Jo Nesbø riesce a raggiungere il grande pubblico senza perdere una notevole stoffa letteraria, al contempo mantenendo un’idea ben chiara della propria scrittura (“Quando rileggo i miei esordi devo ammettere che mi faccio i complimenti da solo. Ero piuttosto bravo ma questo significa che nel tempo non è che sia migliorato più di tanto”). E, alla fine di un incontro in cui si è parlato sempre e solo dei suoi libri, riesce a chiedere: “Ma l’Italia quanto ha fatto l’altra sera?”.

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