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La madre è un luogo. Intervista a Donatella Di Pietrantonio

Di Rosa Carnevale • marzo 06, 2018

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Ci sono libri che sembrano parlare direttamente alla parte più profonda e nascosta di noi, alle paure più radicate e inconsce. Difficile resistere a queste storie, che riescono a smuovere sentimenti ancestrali e a metterci in ascolto. Tra questi c’è sicuramente L’arminuta (la “ritornata” in dialetto abruzzese) di Donatella di Pietrantonio, romanzo vincitore del Premio Selezione Campiello 2017. Un racconto che rapisce, conducendo, non senza emozionare, nella vita di una ragazzina di 13 anni che, nell’estate del 1975, viene restituita ai genitori biologici di cui nulla sapeva fino a quel momento. Dalla casa dei genitori adottivi ad una nuova vita fatta di privazioni, povertà e sentimenti sconosciuti, quella dell’ Arminuta, “orfana di due madri viventi”, assomiglia ad una vera e propria discesa agli Inferi. Dopo i successi di Mia madre è un fiume e Bella mia, il terzo libro di Donatella di Pietrantonio, abruzzese, dentista pediatrica di giorno e scrittrice di notte, parla al cuore con parole ruvide, scolpite, arcaiche. La abbiamo raggiunta telefonicamente per parlare del suo romanzo, dei temi e delle figure che lo animano.
La maternità è il mio tema ricorrente e la mia urgenza narrativa. Mi interessano i lati oscuri, quelli meno rassicuranti, quelli che si situano all’opposto dell’amore, dell’accoglienza, della cura che in qualche modo costituiscono la norma nella maternità.
L'Arminuta
Partiamo dal successo de L’arminuta. Il suo terzo libro segna il passaggio alla casa editrice Einaudi, si aggiudica il Premio Campiello e diventa un caso letterario. Si aspettava un risultato del genere? E come concilia i nuovi impegni di scrittrice con la sua professione di odontoiatra pediatrica?
Dopo il Premio Campiello è diventato un po’ più difficile conciliare l’attività libero professionale e i numerosi impegni che sono seguiti alla proclamazione. Viaggio molto per presentazioni, Festival e altri premi letterari però torno sempre a Penne e dedico almeno qualche giorno alla settimana all’altro mio lavoro. Non mi aspettavo le proporzioni del successo dell’Arminuta. Sentivo che c’erano dei temi importanti dentro il libro, capaci di coinvolgere i lettori ma non mi sarei mai immaginata una risposta in questi termini.
Tra questi temi la maternità è al centro dei suoi romanzi quasi come un’ossessione, declinata in tutte le sue forme, dalle gioie alle aberrazioni più profonde. Le sue sono madri fragili, ambivalenti, imperfette, umanamente infelici. Fanno del male ma soffrono a loro volta, come le due madri dell’Arminuta, complici di un doppio abbandono della figlia. Che rapporto letterario ha con la maternità?
In effetti la maternità è il mio tema ricorrente e la mia urgenza narrativa. Mi interessano i lati oscuri, quelli meno rassicuranti, quelli che si situano all’opposto dell’amore, dell’accoglienza, della cura che in qualche modo costituiscono la norma nella maternità. Io vado invece ad esplorare il rifiuto, l’abbandono, l’inadeguatezza. Temi che sono da sempre al centro della letteratura. Nella mitologia troviamo Medea che è il prototipo delle madri cattive, nelle favole classiche abbiamo madri che abbandonano i bambini nel bosco. La maternità è un argomento complesso, ambivalente. Io ci torno sopra, sviscerandolo, forse anche per elaborare un mio vissuto infantile e la mia relazione con una madre che era presente ma anche molto distante, una donna contadina che passava molte ore del giorno a lavorare nei campi.
Mia madre e un fiume_
Le madri di oggi forse hanno delle difficoltà aggiuntive, dovute a una struttura sociale che, almeno da noi, non le tutela adeguatamente.
“Nel tempo ho perso anche quell’idea confusa di normalità e oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero.” Così recita L’ Arminuta in un passo molto potente del suo romanzo. Che luogo è dunque una madre? E cosa vuol dire essere madre oggi?
La madre è un luogo sempre diverso a seconda delle varie età della vita. Per il bambino la madre è il luogo del contenimento, delle attenzioni, della cura intesa non solamente come cura fisica ma anche e soprattutto psicologica. Non è detto che sia sempre un luogo sicuro, non è detto che le madri siano sempre perfette e adeguate e naturalmente sono i figli a prendere su di sé il carico di queste conseguenze. Le madri di oggi forse hanno delle difficoltà aggiuntive, dovute a una struttura sociale che, almeno da noi, non le tutela adeguatamente. Se pensiamo alle madri lavoratici, le difficoltà nel prendersi cura della prole sono veramente tante. Direi che oggi la maternità presenta spesso degli aspetti problematici dovuti al fatto che non c’è una rete di sostegno e di tutela per chi si occupa dei figli. Una volta questa rete era costituita, per esempio, dalle famiglie allargate. Oggi questi network parentali o di vicinato spesso vengono a mancare e non trovano sostituti efficaci.
Lo racconta in Mia madre è un fiume e anche ne L’arminuta. Le madri dei suoi romanzi non hanno il tempo di guardare i figli perché devono lavorare nei campi e cercare di mettere insieme il pranzo con la cena. Ma anche oggi non ci siamo mossi molto da questa condizione, in un certo senso. E il tempo manca spesso anche alle madri moderne…
Cambiano i contesti e le modalità ma la sostanza in fondo resta la stessa.
Il suo è in un certo modo un romanzo “femminista” (mi passi il termine) che richiama la coscienza delle donne e la necessità di autodeterminarsi ma lo fa in maniera silenziosa, giocando sui vuoti, senza esplicitare. In un certo senso, L’Arminuta è la figura del riscatto. Insieme alla sorella Adriana scoprirà una solidarietà tutta al femminile, riuscendo a riscattarsi con lo studio da una vita di povertà e indigenza. Sono le madri invece a rimanere ingabbiate nel ruolo di donne sottomesse. La madre biologica non può occuparsi dei figli perché troppo indaffarata a trovare il pane per la giornata, la madre adottiva si scoprirà fortemente succube, fino all’infelicità, di un nuovo compagno. Che ruolo ha voluto dare a queste donne dei suoi romanzi, sia alle giovani che alle più anziane?
L’Arminuta è un po’ il romanzo che racconta il fallimento delle madri (sia la madre biologica che quella elettiva) e in generale degli adulti. Invece, direi che i personaggi più giovani, soprattutto la protagonista e la sorella più piccola, appaiono dotati di quella che oggi definiremmo “resilienza”. L’Arminuta e Adriana, infatti, seppur esposte a condizioni di vita disagevoli e a difficoltà estreme, riescono ad attingere dentro di sé alle risorse per poter fare fronte alla quotidianità e anche per crescere e individuarsi in quanto donne. A differenza delle due madri dell’Arminuta, non soccombono, non restano schiacciate dalle circostanze e dalle persone. Si aiutano vicendevolmente mettendo insieme risorse personali molto complementari per restare salde nella vita.
bella mia
La scrittrice che mi ha influenzato di più è sicuramente Agota Kristof
Se dovesse tornare a essere una ragazzina in questi tempi difficili, che consiglio darebbe a se stessa da giovane?
Soprattutto di coltivare un’originalità e un’indipendenza di pensiero, di non piegarsi a quelle che sono le istanze del gregge ma cercare di mantenere un punto di vista personale.
Chi è stata la donna che ha avuto più influenza nella sua vita?
Nella mia vita privata sicuramente la donna che ha avuto più influenza è stata mia madre.
E tra le colleghe scrittrici, chi l’ha profondamente ispirata e a chi si sente più vicina?
La scrittrice che mi ha influenzato di più è sicuramente Agota Kristof. La sento più vicina a me sia in termini di contenuti che di stile. Per quella sua forma linguistica così scarna e essenziale, priva di ogni elemento superfluo. E per la sua capacità di scavare nelle zone più oscure della nostra umanità. Non ha paura di scrivere di niente, di censurarsi su nessun tema, neanche scabroso.
Tra le italiane invece chi citerebbe come modello per la sua scrittura?
In questo momento mi vengono in mente nomi maschili e non contemporanei. Per me, per lo meno nelle prime fasi della scoperta della scrittura, una grandissima influenza l’ha avuta Ignazio Silone, mio conterraneo.
A proposito di Silone e della sua terra, l’Abruzzo…spesso lo vediamo diventare protagonista nei suoi romanzi.
Benché io mi proponga all’inizio di ogni libro di non dare troppo spazio alle mie radici e al territorio che abito, poi mi capita sempre che l’Abruzzo e anche la sua lingua si stendano sulla pagina quasi in maniera autonoma, oltre la mia volontà. Ma questo sta a significare quanto sia forte il senso di appartenenza alla mia terra d’origine.
Qualcuno dei suoi lettori ha fatto notare che il finale del suo ultimo romanzo rimane aperto. Dell’Arminuta sappiamo poco e molti sarebbero curiosi di scoprire cosa ne sarà di Adriana, la sorella della protagonista, da grande. Vedremo un seguito per la storia?
Ahahah (ride). È la prima volta che mi capita di essere effettivamente tentata da un seguito a un mio romanzo ma in questo momento non saprei dire se poi lavorerò ancora su questi personaggi, su questi temi o se me ne allontanerò.
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Donatella Di Pietrantonio vive a Penne, in Abruzzo, dove esercita la professione di dentista pediatrico. Ha esordito con il romanzo Mia madre è un fiume (Elliot 2011, Premio Tropea). Per Einaudi ha pubblicato L'Arminuta (2017), vincitore Premio Campiello 2017 e Bella mia, con cui ha partecipato al Premio Strega 2014 e ha vinto il Premio Brancati e il Premio Vittoriano Esposito Città di Celano.

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