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Quegli squali della Generazione Z

Di Rosa Carnevale • novembre 07, 2018

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“Quando si hanno vent’anni, si pensa di aver risolto l’enigma del mondo; a trent’anni, si comincia a rifletterci sopra, e a quaranta, si scopre che esso è insolubile” August Strindberg

I ragazzi della generazione Z sono come squali. Mordono la vita alle caviglie o almeno cercano di farlo. E non c’è niente di negativo. Una nuova specie ha bisogno di sopravvivere e per farlo deve nuotare forte contro la corrente. I nuovi squali sono animali capaci di scivolare in un mondo che ha perso solidità. Non sono crudeli, solo affamati.

Gli squali è il nuovo libro di Giacomo Mazzariol, 21 anni, originario di Castelfranco Veneto. Dopo il successo del romanzo autobiografico Mio fratello rincorre i dinosauri in cui raccontava della vita in famiglia con il fratellino Giovanni, affetto dalla sindrome di down, torna nelle librerie con un nuovo romanzo di formazione.

Max, il protagonista de Gli squali, ha diciannove anni e vive nella provincia veneta. È alle prese con la maturità ma da un giorno all’altro viene catapultato come per magia nel mondo del lavoro. Ci arriva grazie ad un’applicazione che ha inventato e che dovrebbe servire per orientare i ragazzi alle prese con la scelta dell’università. L’ePark, l’incubatore di startup alla periferia di Roma dove finisce a lavorare, è un posto a metà tra un agriturismo amish e un negozio della Apple. Impossibile non notare una somiglianza con la trevigiana H-Farm, che in Italia riesce a parlare di innovazione e digitale ad alti livelli. Per Max il primo impiego non sarà un idillio ma il bello a quell’età è rischiare, perdersi anche, per poi ritrovarsi.

"Nella mia vita, fino a quel momento, avevo fumato qualche canna senza mai chiuderne una da me. Al cinema non sceglievo il film, ai concerti non mi commuovevo come i miei amici perché andavamo a sentire gruppi che non mi interessavano davvero. Se c’era da prendere la macchina, non mi offrivo mai perché non amo guidare. Ma adesso mi ero rotto di essere un turista. Era giunto il momento di scendere nell’arena. Anche a costo di essere sbranato. Per orientarsi nel caos della maturità serve un istinto per le correnti".

Così il protagonista esce dalla sua comfort zone per affrontare la vita. In sottofondo, il primo amore e qualche canzone di Bob Dylan. Tra le tante incertezze di questa età, Max sembra avere però le idee chiare:

“Le persone di rado fanno ciò che vorrebbero fare, e di rado riescono a mettere a frutto i propri talenti; un po’ perché non sanno quali sono e un po’ perché, se lo sanno, non hanno avuto l’occasione o la caparbietà di coltivarli”. Coltivare le proprie passioni, anche a costo di dire a volte qualche no, è la via giusta per rimanere squali.

Abbiamo intervistato Giacomo Mazzariol mentre correva su un treno da Milano a Roma. È caduta più volte la linea ma alla fine siamo riusciti a salutarci con un messaggio WhatsApp.

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Facciamo un passo indietro a qualche anno fa: un video pubblicato su YouTube con tuo fratello Giovanni che ha la sindrome di down, un sacco di condivisioni, interviste su giornali e in televisione e poi il tuo primo libro nel 2016, Mio fratello rincorre i dinosauri. Storia mia e di Giovanni che ha un cromosoma in più”. È stato tutto velocissimo. Com’è essere uno scrittore? Da piccolo avevi mai sognato di diventarlo?

Si, tra i tanti sogni che avevo da piccolo c’era anche quello di fare lo scrittore. Mi hanno insegnato a sognare in grande. Questo mi ha sempre aiutato molto, mi sono tenuto aperto molte strade. Al liceo sono sempre stato molto attivo, ho fatto politica, ho fatto video, scrivevo ai concorsi di poesia e giornalismo, facevo musica. La passione è ciò che mi guida da sempre nella vita. Non so ancora chi sono e non posso dirti veramente di essere uno scrittore. Sicuramente ho scritto due libri però non mi sento ancora di appartenere veramente alla categoria. Sono molto lontano da quelli che sono i miei idoli in questo campo, c’è ancora molta strada da fare... La scrittura però occupa sicuramente la parte più importante della mia vita in questo periodo.

La storia tua e di Giovanni ha avuto un successo enorme e così il libro. Come racconti tra le pagine però non è stato facile accettare subito tuo fratello per come era. Qual è l’insegnamento più grande che Gio ti ha lasciato in tema di diversità?

Adesso niente mi sembra strano. Quando vado in giro mi stupisco e mi sorprendo di tutto ma non mi spaventa nulla. La diversità, la disibilità, le differenze etniche spesso fanno paura. Il mondo a volte è un caos rispetto all’ordine che di solito uno ha in testa. Io invece sono stato abituato fin da piccolo ad accogliere la diversità con Giovanni e questo è stato un grande allenamento, mi ha allargato gli orizzonti. Il concetto di normalità è caduto molto presto.

Adesso lavori e frequenti l’università. Com’è cambiato il tuo rapporto con Giovanni? Vi vedete spesso?

Mi ero iscritto all’università di Filosofia alla Sapienza ma non sono riuscito a frequentare e a portare avanti gli studi quest’anno, ho ceduto quasi subito In compenso ho lavorato tantissimo ai miei progetti. Gio lo vedo ogni due o tre settimane come vedo la mia famiglia. Sono rimasto legato più di altri amici al mio paese, proprio perché per me la famiglia è un valore, un arricchimento, non qualcosa da cui fuggire. Mi sono sempre sentito libero con loro, sono anni che giro l’Italia con il mio libro e le presentazioni, lavoro, ho la mia vita a Roma, non ho nessun tipo di freno. Quindi a casa ci vado più volentieri di altri. Con mio fratello ho sempre un bellissimo rapporto: gli scrivo, gli invio canzoni su whatsapp, gli mando molti stimoli da Roma e quando vado a trovarlo mi concentro totalmente su di lui.

“Viviamo in un mondo e in un momento pazzesco”. Così hai esordito in un tuo discorso per Ted X a Treviso. Abbiamo tutto ciò che ci serve. Siamo connessi, abbiamo internet, YouTube. Può succedere qualsiasi cosa, devi solo attivarti e rischiare. Di pubblico ce n’è finché vuoi. È anche uno dei nodi centrali del nuovo libro, Gli squali.

Sono partito dal presupposto che ogni generazione è diversa anche se le esigenze di fondo sono sempre le stesse. Tentando di capire quelli che sono i giovani di oggi sono arrivato a una conclusione: rispetto a prima, oggi a vent’anni hai potenzialmente visto tutta l’Europa, ci sono voli da 20 euro a biglietto. In un giorno, se hai scritto una bella canzone puoi caricarla su SoundCloud, proporla e farla uscire con un produttore musicale. Gli strumenti che usiamo oggi (smartphone, internet, Youtube) ci permettono di emanciparci, di trovare ognuno un proprio percorso personale, di partire da noi stessi per arrivare al mondo. Non riesco a essere negativo, davanti a me c’è una generazione piena di strumenti e possibilità “fighissime”. Ho in mente un sacco di esempi di ragazzi che hanno saputo utilizzare queste opportunità al meglio per se stessi e per il mondo. E quindi ho capito che, se dopo una fase adolescenziale in cui è ovviamente facile perdersi, un ragazzo riesce a capire quello che vuole da sé e quello che vuole dare al mondo e va avanti con passione, non lo ferma nessuno nel 2018.

Un approccio positivo e ottimista...

La velocità del nostro mondo ha anche i suoi difetti ma è innegabile che i ragazzi abbiano possibilità che prima non c’erano.

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La scuola che posizione ha in questo? Non sempre un ragazzo riesce a orientarsi su quello che gli piace in quegli anni difficili che precedono il lavoro o l’università. Max, non a caso, all’inizio del tuo nuovo libro, viene scelto da Epark, un incubatore di start up romano, perché ha inventato un’ utilissima applicazione che serve proprio a orientare gli studenti del liceo verso l’università giusta. Come dovrebbe essere secondo te la scuola che orienta?

Bella domanda, mi piace molto. Io penso che la scuola fallisca in uno dei principali obiettivi che dovrebbe avere: l’orientamento dei suoi ragazzi. Dopo anni di scuola a volte si ha una sensazione di spaesamento che secondo me non si dovrebbe assolutamente provare. Non so se è una cosa solamente italiana. La scuola dovrebbe avviare alla passione, aiutare a trovarla. Solo facendo una cosa che ti piace puoi lavorare bene. In tutti i campi, dalla politica alla cultura, alla musica, si riesce a dare il meglio solo quando c’è alla radice una passione vera. La scuola italiana dà una preparazione enorme, ha dei tempi compressi, ma su certe cose frena i giovani e non riesce a creare dei percorsi più personalizzati.

Max è in quinta liceo, mancano poche settimane all’inizio della maturità ma la sua vita è pronta per essere stravolta. Quanto c’è di autobiografico ancora in questo tuo secondo libro?

Il primo era sicuramente un romanzo autobiografico, in Gli squali c’è più fiction. Il bacino da cui ho attinto sono tante sensazioni che ho provato io direttamente in questi anni. Ma l’ho costruito in maniera più distaccata rispetto a Mio fratello rincorre i dinosauri. Certo è che un narratore, secondo la mia opinione, dovrebbe raccontare ciò che conosce per farlo conoscere agli altri. Anche l’etimologia latina ce lo mostra chiaramente: narrare in latino è affine a gnarus, essere «consapevole», conoscere. Quindi c’è tantissima della mia vita anche in questo romanzo, nonostante si parli di startup, aziende e cose che non mi appartengono in prima persona. Questa volta però la mia vicenda ha fatto irruzione nel libro in maniera più scoordinata e meno organizzata.

L’ultimo anno del liceo, gli amici, le prime fidanzate, la scuola, il futuro che ti si distende davanti come un tappeto. Cosa ricordi di quel periodo? Com’è avere diciannove anni?

Quell’età l'ho scelta per Gli squali perché penso che sia una metafora, una delle fasi della vita in cui cambi tutto. Cominci a pensare a te stesso, riparti da zero, togli le radici. La fine del liceo è una delle tappe di crescita che la vita ti mette davanti. E quando sta per cambiare tutto e per succedere qualcosa di grosso, ogni momento è ricco di cose da raccontare. Quello della quinta liceo è un momento disordinato, piena di riti, di danze tribali quasi. Ma anche a 35 o 40 anni puoi vivere delle fasi così. Ho usato le mie sensazioni personali per raccontare un momento universale.

Chi sono gli squali del libro?

Sono ragazzi pieni di strumenti, affamati e curiosi. Se trovano la loro strada riescono a nuotare veloci e liberi contro le correnti, contro la manipolazione e l’omologazione della società. Ho molta fiducia in questi squali che magari si muovono anche in branco e fanno paura. Sono i ragazzi del nuovo millennio. Ma sono in realtà anche tutte quelle persone che hanno un’attitudine a riuscire a fare le cose bene, a modo loro, a non farsi trascinare via dalla corrente forte del mare in cui viviamo. Che più che un mare a volte sembra un acquario. È nata una nuova specie.

Ad un certo punto citi una frase di Aldous Huxley: «Usa la leggerezza nel sentire, anche quando il sentire è profondo. Con leggerezza lascia che le cose accadano, e con leggerezza affrontale». Quanto ha contato e conta la leggerezza nella tua vita?

A volte il libro ha delle parti un po’ più pesanti ma è raccontato con la freschezza di un ragazzo. Lo chiedo anche a te...cosa ne pensi?

Penso che ci sia molta leggerezza in Gli squali così come in Mio fratello rincorre i dinosauri, in cui con ironia ci hai raccontato l’unicità di Giovanni e di ogni esistenza.

Si, esatto. In questo senso penso anche che ci sia una sorta di continuità tra i due libri. Affrontano temi estremamente seri come il lavoro, la solitudine, l’amicizia, il tormento, l’amore, l’insicurezza o le differenze ma il punto di vista è quello di un giovane e quindi per forza più leggero. Entrambi secondo me propongo un viaggio piacevole e non troppo tortuoso.

Fino a qualche anno fa la tua vita trascorreva tranquilla a Castelfranco Veneto. La provincia torna anche nel tuo ultimo libro. Il protagonista, Max, abita a Magnano. Cosa senti di aver ricevuto dalla vita di provincia? Com’è invece vivere in una grande città come Roma?

Magnano è un luogo fittizio che rappresenta il cuore delle emozioni, le radici, il posto dove hai lasciato tutti i tuoi amici e gli affetti. È anche la metafora di un paese che è sempre lì, sempre uguale e dal quale è necessario per forza andarsene per trovare la propria strada. Tutti i ragazzi del libro alla fine cambiano città. La vita di provincia mi ha dato un’attitudine triste ma anche vera, mi ha insegnato a sapersi accontentare. Castelfranco ha impostato il mio setting valoriale per cui riesco sempre a godere anche delle piccole cose. L’energia della grande città dà sicuramente molte opportunità in più ma a volte tutta questa scelta ti porta più lontano dalla verità.

C’è tanta musica nel tuo ultimo libro. Tanta e diversa. Johnny Rotten, Bob Dylan, i Moderat, Arctic Monkeys, Guccini, i Doors. Quanto conta la musica nella tua vita e cosa ascolta Giacomo? Qualcuno di questi gruppi sono sicura che lo segui anche nella realtà (ho fatto una radiografia al tuo profilo Instagram e ho visto che al concerto degli Alt J ci sei stato veramente, per esempio...)

Sono una mancata rockstar. La musica conta tantissimo per me.

Suoni qualche strumento?

Suonicchio ma non è il mio mestiere. Però farò uno spettacolo con un mio amico musicista, Pietro Brunello (che assomiglia molto a Filippo, uno dei personaggi del libro, anzi è quasi uguale) e porteremo in giro per l’Italia in 20 tappe delle serate in cui io leggerò dei pezzi dai miei libri e lui mi accompagnerà con la musica e suonerà i suoi pezzi. Per tornare alla tua domanda nella musica vera c’è tantissima poesia e se tutti ascoltassero Bob Dylan sarebbe un mondo migliore (ride). Ascolto molta musica elettronica (Bonobo, Jon Hopkins, Nicolas Jaar), indie rock e un po’ di pop e rap americano.

Sul finale Marta e Max leggono insieme “Per sempre lassù”, uno dei racconti tratti da Brevi interviste con uomini schifosi di David Foster Wallace. Un ragazzino intento a tuffarsi dal trampolino di una piscina il giorno del suo tredicesimo compleanno...

David Foster Wallace è un figo della Madonna.

Era, purtroppo. Ma vive nelle sue pagine...

È ancora vivo, non morirà mai. Se la gente lo leggesse sarebbe un mondo migliore. Quel racconto è perfetto per il mio libro. Poche pagine scritte in maniera sublime e la metafora di un ragazzino che deve saltare su un trampolino...

Insieme a Foster Wallace chi sono gli scrittori che ti hanno ispirato?

John Fante è il mio idolo.

E c’è qualcuno di italiano?

Enrico Brizzi con Jack Frusciante è uscito dal gruppo. È un libro che mi ha formato. Poi Stefano Benni, che riesce sempre a farmi ridere.

Cos’è cambiato nella stesura di questo secondo libro? Per il primo sappiamo che hai lavorato con Fabio Geda che ti ha guidato nella veste di tutor in maniera maieutica, aiutandoti a tirare fuori la tua storia nel migliore dei modi possibili e con l’editor Francesco Colombo. Per Gli squali è stato lo stesso?

Ho lavorato sempre con Fabio Geda e Francesco Colombo anche per questo nuovo libro. Questa volta però ho avuto molte più responsabilità. Il team comunque è una sicurezza, siamo una bellissima squadra.

Oltre a scrivere per Einaudi stai anche lavorando come sceneggiatore alla serie tv Baby per Netflix. Com’è stata questa nuova avventura? La serie uscirà a breve, vero?

La serie uscirà il 30 novembre. È una storia di formazione che esplora le vite segrete degli adolescenti di Roma. Liberamente ispirata ad una storia vera, lo scandalo delle baby squillo scoppiato a Roma nell’estate 2014, racconta le vicende di un gruppo di ragazzi dei Parioli in cerca della propria identità. Baby è stata una parentesi molto impegnativa ma divertente perché ho lavorato con un collettivo di giovani scrittori, GRAMS. Insieme a me c’erano Antonio Le Fosse, Eleonora Trucchi, Marco Raspanti e Re Salvador. E poi gli scrittori Isabella Aguilar e Giacomo Durzi che hanno supervisionato il gruppo. In veste di sceneggiatore ho lavorato anche al film tratto dal mio primo libro. Ma la scrittura dei romanzi è sempre quello che mi appassiona di più.

Su Repubblica hai un blog che si chiama Generazione Z dove hai raccolto le testimonianze di giovani come te che hai incontrato in giro per l’Italia durante il tour del libro. Un mosaico di testi, lettere loro e risposte tue su temi che vanno dall’amore ai social, dalle passioni ai valori. Cosa hai capito della tua generazione?

Mi ha incuriosito molto vedere come i ragazzi di oggi si informano. È un modo di conoscere la realtà totalmente diverso da quello di prima.

Qual è il tuo rapporto con i Social Network?
ODI ET AMO. Mi piace pensare che delle cose che potrebbero leggere in due persone le leggano invece in tantissimi però poi mi ricordo che Bob Dylan ha zero follower e torno con i piedi per terra... Non mi piace poi quando la gente controlla il numero di post che fai o ti scrive per chiedere perché non pubblichi più cose. Ci sono giorni che mi dimentico completamente di avere un profilo Instagram e Facebook perché sono troppo impegnato a vivere.

Come ti vedi tra una decina di anni?
Spero di fare un libro che abbia almeno un po’ la bellezza e la perfezione di quelli di John Fante.

E nella vita?
Vado dove mi porta il cuore. Non so se sarò in Italia.

Levaci una curiosità, chi è la “Camilla” a cui dedichi il libro? Assomiglia molto alla Marta de Gli squali?

È la mia fantastica ragazza. Per il personaggio di Marta molte delle suggestione sono nate da lei anche se sono due tipi molto, molto diversi.

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Rosa Carnevale (1983), giornalista. Ha collaborato con Artribune, L'Officiel, Rolling Stone Italia, Zero, Grazia.it.

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